A pochi chilometri a Nord del centro abitato di Gonnosfanadiga, in un punto equidistante dai vari altri paesi del circondario, è presente un’area archeologica di notevolissima importanza a livello regione, presso la località conosciuta col nome di “Spadula”.
Nonostante non sia mai stata interessata da campagne di scavo archeologico, è possibile osservare e individuare, all’interno dei diversi ettari in cui si estende, numerosi elementi che testimoniano la frequentazione e l’insediamento umano, in questi luoghi, in diverse epoche storiche della nostra isola. Affiorano dal terreno, infatti, diverse tracce di strutture murarie, riconducibili alle tipiche basi, ad andamento rettilineo o curvilineo, delle capanne di epoca nuragica. Allo stesso periodo risalgono i reperti (per la maggior parte litici), rinvenuti in grande quantità, sia superficialmente, sia a seguito delle arature dei campi. Altri oggetti ritrovati, quali parti di macine pompeiane o tegole piane, sono la prova che l’area era frequentata anche nel periodo successivo, cioè quello romano.
Ciò che contraddistingue il sito e lo rende particolarmente degno di considerazione, è la presenza dei resti di due edifici riconducibili al culto delle acque, del periodo nuragico: un tempio a megaron e un tempio a pozzo. Il ritrovamento, a poca distanza, avvenuto una ventina di anni fa, di una serie di vasi miniaturistici votivi, avvalora la tesi che siamo di fronte ad uno dei cosiddetti “villaggi santuario” di quel periodo (ad esempio quelli di Santa Cristina a Paulilatino o “Su Romanzesu”, a Bitti), dove le popolazioni dei territori circostanti si riunivano periodicamente per assistere a riti e festeggiamenti in onore delle divinità venerate in quell’epoca. Di templi a megaron (chiamati così per alcune caratteristiche in comune con quelli della Grecia antica, dello stesso periodo), nell’isola, ne sono stati rinvenuti fino ad oggi davvero pochissimi, nella maggior parte dei casi situati nella parte orientale e centro settentrionale della Sardegna, costruiti solitamente su delle alture, mentre quello di Spadula è l’unico del circondario e edificato in pianura. Osservando ciò che affiora dal terreno, attraverso misurazioni superficiali e non ufficiali, quello di Gonnosfanadiga è uno tra i primi, per dimensioni, tra tutti quelli finora individuati, secondo solamente a “Sa Domu ‘e Urxia” ad Esterzili. Solo eventuali futuri scavi confermeranno o meno questo dato e la sua datazione, finora collocata tra il XII e il IX secolo a.C. Venne costruito con grossi blocchi di marna, probabilmente ricavati presso alcune vallate alluvionali collocate ad alcuni chilometri più a sud del sito. Addossato al tempio, vi è pure un recinto realizzato con massi di diversa tipologia, alcuni probabilmente provenienti da qualche nuraghe della zona, ma è presumibile che sia stato realizzato in un periodo successivo all’edificio di culto. In virtù della sua importanza, questa struttura è stata sottoposta a vincolo ministeriale da parte della soprintendenza, nel 2014.
Ai margini dell’area archeologica, nel 2011 è stata realizzata una chiesetta campestre in onore di San Giacomo apostolo.
Materiale inedito, tratto dalla Conferenza del Gennaio 2010, “Il Tesoro archeologico di Spadula”, a cura del Circolo Culturale Incontri.