Tra Dicembre 2018 e Dicembre 2019 ho svolto in paese il mio anno di Servizio Civile. Il progetto per il quale ero volontaria di Sardegna Solidale si intitolava “Youth help desk” e prevedeva attività di accoglienza presso il Sa.Sol point n. 13, con sede all’ex Centro Analisi e momenti di condivisione e collaborazione con due associazioni locali, “Io e Te Insieme” ed il Centro “Mario Sogus”, presieduto da Raffaele Sardu. La mia referente di Servizio Civile era Pinuccia Peddis.
Fin dal primo giorno sono stata accolta piacevolmente dagli operatori e dagli anziani del Centro “Mario Sogus”. È un centro di aggregazione dove gli anziani stanno in compagnia, giocano e chiacchierano. Ho passato lì dei bei pomeriggi. Mi sentivo la benvenuta, in un bell’ambiente, e qualche volta mi è capitato di giocare con loro a tombola e di ascoltare le loro chiacchiere e i racconti. Abbiamo scherzato tanto.
In alcune occasioni ho appuntato i loro racconti, spesso incentrati sulla loro gioventù o sul periodo della guerra. In accordo con Raffaele e Pinuccia, riporto di seguito le esperienze condivise.
Il racconto di G.
G. è nata nel 1929 ed è vissuta a Santadi, un paese del Sulcis Iglesiente.
A 7 anni ha iniziato a lavorare con la sua famiglia di agricoltori, a quel tempo come gli altri lavori, quello degli agricoltori non era facile, bisognava lavorare duramente, mentre ora la tecnologia avanzata permette di lavorare meno.
A 8 anni si ammalò di scabbia e la madre la curò cospargendo la pelle con lo strutto e lo zolfo: queste erano le cure antiche e funzionavano.
G. stava appresso agli agnellini svezzati: affrontava le intemperie del freddo invernale sotto un rovo di more, accovacciata e rannicchiata per ripararsi dal vento gelido, piangendo dalla paura, guardando i fulmini che sfrecciavano nel cielo e sentendo il rombo dei tuoni che la terrorizzavano.
In quei tempi l’educazione al rispetto era molto rigorosa, le è stata impartita dai genitori e dalle maestre a scuola. Ora che è cresciuta ringrazia sia i genitori che la scuola.
Quando era in terza elementare un giorno l’insegnante le chiese se avesse studiato la storia, G. rispose di no e la maestra le diede due sberle che le lasciarono il segno per tutta la mattina.
L’indomani G. iniziò a studiare la storia, per questo ringrazia la scuola.
Si ricorda ancora che era la storia su Garibaldi e Mazzini.
In terza, quarta e quinta elementare aveva fatto il saggio di fine anno. L’istruzione era basata sul rispetto, l’educazione e il comportamento corretto, l’obbedienza. Stessa cosa valeva per la famiglia: suo padre teneva troppo all’educazione e al rispetto e la picchiava molto.
Visse fino a 19 anni lavorando in campagna, di mattina andava a scuola e di pomeriggio in campagna appresso alle bestie. La sua cartella non era sicuramente di marca Chicco: era un cestino. C’era la penna col calamaio e l’inchiostro. G. portava tutto in campagna per fare i compiti.
G. ricorda i tempi di guerra, ha vissuto nell’epoca del fascismo e ricorda molto bene il “sabato fascista”. Il sabato pomeriggio andavano a sfilare con le divise: gonna a pieghe nera e camicetta bianca, con lo stemma del fascismo e la M di Mussolini. Facevano la marcia come i militari, facevano il saluto fascista e giravano la testa verso le autorità civili e militari.
G. non ha conosciuto né infanzia, né adolescenza, né parte della gioventù. A 19 anni si è resa indipendente. Aveva preso la casa dei genitori e lavorava come servitù per la famiglia fino al matrimonio.
È stata sposata per 37 anni e ha avuto 8 figli. A 63 anni è rimasta vedova e ora vive per i suoi figli, ha quasi 90 anni.