Il 17 Febbraio del 1943 mio marito Germano Nazini è stato ferito vicino al cancello di casa, in quella che adesso è via delle Aie. Avevo sentito uno sparo grosso, senza capire cosa fosse. Nel momento del bombardamento lui era fuori, in cortile, dove avevamo anche messo la culla del bambino. Mio marito stava cuocendo la salsiccia. C’era anche mia comare. Stavamo preparando il pranzo.
Il muro si era riempito di buchi per le schegge, per strada non si poteva passare per via delle persone ferite a morte.
Mia mamma è stata ferita presso il municipio. Era andata a prendere i ferri per i cavalli ed era stata colpita. Ero andata a cercarla ma non l’avevo trovata perché era stata ricoverata. Non sapevo dove fosse. Anche per mio marito ho passato due giorni senza sapere dove fosse perché l’avevano portato prima in un ospedale e poi l’avevano trasferito in un altro, senza che mi fosse stato comunicato.
Il mio bambino ed io ci siamo riparati dentro il rifugio, fatto realizzare a nostre spese. Il bambino allora aveva un anno, io avevo ne avevo 21.
Presso la Signorina Ghita Porru risiedevano dei militari. Venivano spesso a chiedermi del bambino. Mi chiedevano se volessi del latte. Prendevano il bambino con sé per dargli da mangiare e poi me lo riportavano. Ci portavano da mangiare. Io avevo consegnato loro i piatti per portarci il cibo. La spesa ce la portavano loro. A volte, Signorina Ghita veniva per chiedermi se i militari avessero portato il latte per il bambino. Rispondevo sempre: “Sì, sì, i militari son già venuti!”. Si mangiava e si dormiva nel rifugio. Era grande, aveva due accessi, un’entrata e un’uscita. Il materiale per costruirlo lo aveva preso mio marito a Montevecchio. Avevamo trasportato dei mobili al suo interno: i tavoli, avevamo persino il letto e la culla del bambino. Era bello. Non ho mai sofferto la fame, avevo di tutto. I militari mi portavano anche la frutta.
Poi sono partiti, sono passati a salutami. Non mi hanno riportato i piatti. Però, “ci avevano guardato”, si erano presi cura di noi.
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Pietrina Marongiu’s testimony, the war into the Cadumbu’s shelter- February 17th, 1943
February 17th, 1943, my husband, Germano Nazini was injured near his home’s gate, which now is Aie street. I heard a big loud shoot however I did not understand soon what it was. When we had the air-raid attack Germano was outside in our garden with his son’s candle. He was cooking some meat with comare (the godmother of his son) because it was lunch time.
The wall was full of holes because the shoots and anyone could not walk in the street because of the injured people. My mum was injured too, near the town hall. She went out to buy the iron for the horses.
I went to find her, but she was at the hospital, but I did not know where. The same happened for my husband, he was taken to the hospital, after 2 days he changed place, no one told me the news.
My son was 1 years old, and I was 21. We took cover into a shelter, realized with our money. At Miss Ghita Porcu’s house lived some militaries, they always asked me about my son’s health or if I needed milk. I gave our house’s dishes to military so we could obtain food, even if sometimes military fed my son. Miss Ghita sometimes asked if military came or fed my baby enough, I always answered “yes, they came”. We spend a lot of time in the shelter, we ate, and we slept. It was huge and with two accesses: entry and exit. My husband took the materials from Montevecchio, we carried all the inside furniture: tables, candle, and bed. It was beautiful. We never felt hungry because we have the necessary. Military bought us everything, the fruits too. Before leave they told me goodbye, despite they did not gave us back our dishes, but who cares, they take care of us.
Tradotto da/Translated by Martina Sardu