Quando entravamo nel frantoio, mio fratello ed io, era come entrare in un Tempio, con tutte le sue regole e i suoi riti. Appena si entrava, il frantoiano ci vietava assolutamente di avvicinarci agli impianti, in particolare alle macine, poiché era pericoloso. Si sentiva un forte profumo d’olio e tutto l’ambiente era caldo. Ciò che ci colpiva era un enorme pentolone pieno d’acqua che veniva riscaldato con i residui della lavorazione dell’olio e che fungeva anche da stufa alimentata non dalla sansa, che aveva un forte potere calorifico. Assistevamo il frantoiano che svuotava le olive dai sacchi e le riversava nelle macine. La spremitura aveva i suoi tempi, la sua ritualità artigianale. Le olive venivano frantumate e macinate da grossi blocchi rotanti di granito chiamate molazze. Le ruote giravano lentamente per non far alzare la temperatura, ecco perché si diceva “spremitura a freddo”, affinché l’olio rimanesse dolce e delicato. Successivamente, le olive si trasformavano in un impasto. Veniva raccolta la pasta e inserita nei fiscoli posti uno sopra l’altro e li si sistemava in due colonnine uguali sotto la vite, che rimaneva rialzata, in alto. Poi la si abbassava e il tavolone di sei centimetri, su cui poggiava, cominciava a premere i fiscoli sulle due colonnine. Tutti i presenti guardavano l’olio che gorgogliava in piccoli getti e scendeva a raccogliersi nell’apposito canaletto e scompariva nel pozzetto, accuratamente coperto. Questo procedimento consentiva di separare la parte liquida, detta anche mosto, dalla parte solida detta sansa. Quest’ultima veniva scartata mentre la miscela nobile andava nel cosiddetto separatore: l’olio si separava dall’acqua di vegetazione. Il frantoiano sembrava quasi un sacerdote nel momento solenne. Con gli occhi di bambino quel separatore sembrava un qualcosa di magico perché faceva uscire l’olio. Mi ricordo che il desiderio più grande era quello di affondare le mani nella pasta morbida delle olive. Ma era vietato.
Mi ricordo come fosse oggi, mio nonno Giovanni Battista, che collaborava con mio padre, adoperarsi per registrare tutte le partite di entrate e di uscita con le relative pesature in un grande registro che difficilmente poteva dirsi composto da fogli bianchi puliti, posto che l’ambiente, giocoforza, era intriso di vapori e fumi e profumi d’olio.
Ogni volta che andavamo a Gonnosfanadiga la prima cosa che facevamo era recarci al frantoio. Ne approfittavamo per usare il carro per il trasporto dei sacchi di olive: lo facevamo avanzare a tutta velocità intorno al giardino, anche se mio nonno certamente non gradiva.
Al termine della trasformazione del prodotto non mancava l’assaggio dell’olio sul pane: un sapore indefinibile al palato di noi bambini.
Nelle annate di particolare abbondanza di produzione il lavoro si protraeva anche di notte e capitava che il frantoio rimanesse aperto fino a marzo.
Con il tempo e con molta tristezza si chiusero per sempre i battenti del nostro frantoio. Oggi ne abbiamo un perenne ricordo, mantenendo in piedi tutto l’impianto, nato nel 1890, conservandone la storia e le tradizioni.
Ancora oggi, entrando, sembra di essere in un Tempio e di vivere e sentire il frantoiano con gli operai, mio bisnonno Antonio, mio nonno Giovanni Battista, mio padre Teobaldo, mio zio Antonio, dirigere, parlare, lavorare. Sentire sempre quei meravigliosi profumi d’olio.
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The memory of Bardi oil mill.
When we went to the oil mill, my brother and I, it was like we entered a Temple, with its rules and its rites. As soon as we entered, the owner forbade us to go near the facilities, especially the millstones, because it was dangerous. You could the strong scent of the oil and the place was very warm. We were particularly impressed by a big cauldron full of water that was warmed with the residue of the oil processing and was used as stove not alimented by the olive residues, that had a huge calorific value.
We witnessed the owner who emptied the olives from the bags and poured them in the millstones. The pressing had its peculiar time and its artisanal ritual.
The olives were crushed and pressed by big turning granite blocks called “molazze” (millstones). The millstones turned slowly to avoid the temperature to increase, that’s why it was called cold pressing, for the oil to stay sweet and delicate. After that, the olives turned into a mixture. The mixture was collected and entered in the next located one above the other and they were settled in two indentical columns under the screw that was raised upward. After that it was lowered and the six centimeters table where it was based started to press the next on the columns.
All those presents watched the oil bubbling in little drops and came down gathering in the proper canal and then disappeared in the well, carefully covered. This procedure allowed them to separate the liquid part, called must, from the solid part called residue. This part was scrapped while the noble blend was located in the separator: the oil was separated from the vegetation water. The oil mill owner looked like a priest in the solemn time. From our young eyes, that separator seemed magical becuse it let the oil out. I remember my biggest dream was to touch the soft paste of the olives. But it was forbidden.
I also remember clear as day that my grandfather Giovanni Battista who worked with my dad, recorded all the incomes and the exits with the weight measurements in a big logbook that never had a blank page given that the place was filled with vapor and fumes and scents of oil.
Every time we went to Gonnosfanadiga the first thing we did was going to the oil mill. We enjoyed using the wagon for the olive bags transport: we pushed it forward at full speed around the garden, even if my grandfather wasn’t happy about it.
When the product was ready we tasted it with bread: it had an unidentifiable flavor for us kids’ palate.
When the season was particularly rich the production kept going until late night and some days the oil mill stayed open until march.
Sadly time passed and our oil mill closed down forever. Today we still have the memory of it, preserving the facility created in 1890, saving its story and traditions.
Even nowadays, entering the oil mill it feels like entering a Temple and we can still hear the owner and the workers, my great-grandfather Antonio, my grandfather Giovanni Battista, my father Teobaldo and my uncle Antonio directing, talking and working. We can still hear those beautiful scents of the oil.
Tradotto da/Translated by Giorgia Pala